Figlia di frontiera

di Gianni Castagneri

«Balme è stata per me una sorpresa e al tempo stesso come un ritorno». Esordisce con queste parole Virginia Farina, che da oltre vent’anni scrive sul tema della migrazione e della non-violenza e che ha appena pubblicato il romanzo “Figlia di frontiera”, presentato al recente Salone del Libro di Torino.

«Sono nata in un piccolo paese del centro Sardegna, che se anche immerso in una natura molto diversa, ha lo stesso senso di spazio smisurato intorno, la stessa commovente durezza che forgia uomini e donne sensibili e “antichi”, perché radicati alla terra e a un senso del vivere che sa ancora di una saggezza fuori dal tempo. Ho così iniziato a incuriosirmi e a leggere tutte le testimonianze che trovavo sulla storia di queste montagne che, chissà per quale misteriosa ragione, sentivo sempre di più come anche mie. Ho iniziato ad amare le sue case e le sue pietre, le salite ripide, le visuali che si aprono improvvise, e dentro di me si è fatto largo quel desiderio viscerale delle altezze che spinge oltre l’orizzonte».

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La narrazione, inconsueta per queste zone ma già ben presente in vallate vicine, attraverso una prosa limpida ed emozionante trascina fin dall’inizio ad un’attenta lettura: sulle cime di Barmes, il vecchio Touni trova nella neve una bimba nera appena nata. La marcia disperata dei migranti per passare in quota il confine era stata troppo dura per una donna incinta, ma la piccola figlia di frontiera vagisce ancora, è viva. Touni e i suoi compaesani proveranno a proteggere questa nuova vita dal freddo e dalla polizia che bracca i clandestini. È la legge arcaica dei montanari che li obbliga a soccorrere chi si è perduto, mentre giù a valle la retorica governativa persegue una campagna contro i migranti che si fa sempre più cieca e insensata.

Virginia Farina racconta una storia di montagna che mescola all’antico profumo del fieno e del letame, il suono cupo di passi in fuga sulla neve. Con “Figlia di frontiera”, ha vinto nel 2021 il premio speciale Routes Médi- terranée nell’ambito del “Premio InediTO – Colline di Torino”. 

«Ho scoperto Balme per una serie di piccole coincidenze. Credo però di avervi incontrato una realtà non sempre comune nelle montagne, nella quale è sedimentata una cultura contadina e al tempo stesso profondamente intellettuale, perché sono tante le tracce rimaste nel tempo attraverso la scrittura dei suoi uomini, tracce che non solo documentano usi ed avvenimenti, ma anche visioni del mondo. Poco a poco si è fatta spazio in me l’idea di un universo ricchissimo, capace di stravolgere molti preconcetti e di connettere luoghi e pensieri apparentemente inconciliabili».

L’idea del romanzo è nata qui. Era il 2018 e si iniziava a parlare delle vie alpine di migrazione verso la Francia, in particolare lungo la Val di Susa. Ricordo la storia di una donna, Destiny, partita dall’Italia incinta di 7 mesi e morta in quota, e ricordo diversi episodi di condanna, anche di carcerazione, per chi, sull’altro versante, soccorreva i clandestini. Allora si è creato un me un corto circuito. E se le vie di migrazione seguissero quelle antiche di comunicazione sparse anche in altre valli? E se si inasprisse ancora la chiusura delle frontiere? Saremmo capaci di salvare se non quella madre il futuro della bambina che portava in grembo? E poi ancora sono fiorite altre domande, quale futuro attende le nostre montagne, i nostri territori più periferici che sempre di più si spopolano e trovano troppo spesso solo nel turismo una ragione di esistere? E quale senso della giustizia e della vita hanno da trasmetterci gli anziani che sono lo spirito di questi luoghi?

Con il mio libro – conclude l’autrice – spero di poter contribuire a trasmettere anche solo un poco il grande valore di una cultura capace di abitare le frontiere e di guardare oltre».

Tratto da Barmes News n.60 (luglio 2023)

I Bricco della Pampa argentina

di Giorgio Inaudi

Bricco Angelo Severino, nato il 23 ottobre 1857 “partito per la Repubblica Argentina nella provincia di Mendoza nell’America del Sud e prese moglie colà nel 1895 e nel 1909 scrive di avere tre maschi e tre femmine, tutti in buona salute”. E’ l’ultima notizia di uno dei tanti piemontesi che andavano a cercare una vita migliore in quello sconfinato e ricchissimo paese dell’America Latina, dove, a quanto si raccontava, la carne era così abbonante che, dopo aver fatto il brodo, veniva gettata via. Nei paesi come Balme, la gente sopravviveva con una dieta poverissima, dove il consumo di carne era del tutto eccezionale, di solito quando moriva una vacca. Non c’è da stupirsi se intere famiglie vendevano la baita e i pochi campi pietrosi e comperavano un biglietto per il “bastimento” che li avrebbe portati nel “nuovo mondo”. Continua a leggere